Una ragazza solitaria in montagna (da sola): ecco perchè sembra così strano

Una ragazza solitaria in montagna (da sola): ecco perchè sembra così strano
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L’uomo è un animale sociale? Certo.

L’uomo è un animale sociale. Verissimo: dai primi passi lungo il cammino dell’evoluzione ad oggi, l’essere umano ha sempre fatto gruppo per superare pericoli e difficoltà ma anche per progredire. Secolo dopo secolo, secondo la ben nota legge dell’evoluzione, i comportamenti sociali che funzionavano venivano perpetrati e nel cervello si formavano circuiti neurali a sostegno di quei comportamenti. Oggi sappiamo ad esempio che ci sono delle cellule nervose chiamate neuroni specchio che si attivano quando osserviamo qualcuno compiere un’azione. Se una persona che stiamo osservando mangia o cammina, nel nostro cervello si “accendono” gli stessi neuroni che sono attivi quando siamo noi a mangiare o camminare. Questo la dice lunga su quanto, per natura, siamo legati agli altri.

Fuori dal coro

Che problema hanno allora le persone che amano la solitudine? Quelle introverse, che al partecipare preferiscono l’osservare, o che invece di parlare tendono ad ascoltare (passatemi questa generalizzazione che mi serve soltanto per aiutarvi ad immaginare un “solitario” tipo). Secondo me, nessun problema: lo posso affermare con certezza perchè io sono una di quelle persone. Non mi è mai piaciuto stare in gruppo, non ero un’adolescente con una comitiva e ho sempre preferito attività solitarie. Eppure, all’alba dei trent’anni convivo, ho un lavoro, me ne sto creando un altro, mi mantengo da sola e inseguo le mie passioni quindi non mi sento di dire che questa caratteristica di personalità mi abbia ostacolato. Certo, da psicologa sono consapevole che la tendenza all’isolamento può indicare situazioni patologiche ma questo è un altro discorso in cui, per ovvi motivi, non mi addentro. Anche perchè, stiamo per parlare di montagna.

La montagna: che grande maestra

Sono sempre stata attratta dalla montagna: sono estremamente grata a mio papà per avermela fatta scoprire e amare così come ringrazio ogni giorno la catena di eventi che mi ha portato a vivere in prossimità delle bellissime montagne del Friuli-Venezia Giulia. Sono così mountain addicted che quando vivevo a Padova e non mi era possibile fare trekking, mi sono persino cimentata in un nuovo sport pur di raggiungerle: il ciclismo su strada. Eh già, durante questa pandemia in cui ho avuto veramente tanto tempo libero per riflettere, ho scoperto che non amo tanto la bicicletta, quanto piuttosto dove può portarmi questo mezzo. E da Padova, prendendo ogni sabato mattina alle 6 il treno per Bassano del Grappa era proprio alle montagne del Veneto e del Trentino che puntavo. E quanti chilometri su e giù per valli e passi di montagna: più ci andavo e più ci volevo andare, più in alto arrivavo e più bene stavo.

Ma sei andata “località a caso” da sola? Ma non hai paura? E se ti serve aiuto?

Proprio perchè mi faceva stare così bene, per me era diventato piuttosto normale imbarcarmi in giri più o meno lunghi, come quella volta che da Bassano del Grappa ho raggiunto la Val di Fiemme percorrendo 150 chilometri e più di 2000 metri di dislivello con una bici in alluminio che aveva il 53-39 e uno zainetto con 4 cose dentro. Che gamba all’epoca 😂 E quando raccontavo cose del genere ad un interlocutore qualsiasi, la domanda (accompagnata da una bella sgranata di occhi) era sempre la stessa: “Ma vai sola? Ma non hai paura di (X cose)”? La mia risposta a tutte le paure che avrei dovuto avere non piaceva all’interlocutore: esponendo educatamente il mio punto di vista dimostravo che le sue obiezioni erano prive di fondamento razionale e frutto di una cultura che non vede sotto una buona luce le persone solitarie che fanno cose fuori dal “normale”. Una cultura che non sa inquadrare ragazze o donne che fanno cose da sole, come se non potessimo andare in giro senza qualcuno pronto ad aiutarci e proteggerci. La domanda sorge spontanea: se Filippo o qualche altro essere umano di sesso maschile avesse fatto quegli stessi chilometri con lo stesso dislivello e lo stesso mezzo, cosa avrebbero detto a lui? Ve lo dico io. Niente. E posso affermare anche questo con certezza perchè quando finiamo giri in bicicletta che hanno chilometraggi e dislivelli simili, le mie stories su Instagram hanno più interazioni delle sue. Fa pensare vero?

Ma non dobbiamo stupirci di queste reazioni. Sono frutto di categorizzazioni che il nostro cervello esegue per semplificare la comprensione del mondo.

Grazie psicologia. Prima di studiarti per sei anni mi sono interrogata davvero tanto sui perchè e i per come delle reazioni e dei comportamenti che (da brava solitaria) osservavo intorno a me. Poi, durante la specializzazione, un professore consigliò alla mia classe un libro che trovo davvero illuminante (Pensieri lenti e veloci) che spiega le modalità con cui il nostro cervello categorizza le informazioni che riceve. E meno male che lo fa: in caso contrario saremmo sommersi da così tante informazioni che sarebbe impossibile processarle. Senza entrare troppo nei dettagli, quando dobbiamo collocare una nuova informazione, il cervello utilizza delle scorciatoie per processare quel dato con il minor spreco di risorse possibile. Più il cervello è affaticato e/o impegnato in altre operazioni, più questo meccanismo è efficace e meno andiamo a fondo nell’analisi di questa informazione. Minimo sforzo, massima resa. Un esempio? Pensate a quante volte avete assistito o partecipato ad uno scambio di battute tipo quello che segue:

A: Il mio cane si è ammato, verrà operato la prossima settimana.
B: Anche il cane di una persona che conosco è stato male e ieri il cane del mio vicino di casa si è ferito mentre giocava in giardino.
A: Caspita, ma che sta succedendo agli animali domestici, stanno tutti male!

Ecco cos’è successo

La persona A (che fantasia) è preoccupata per il suo cane che deve subire un’operazione (quindi si trova in uno stato mentale non sereno, prendete nota). La persona B (per empatia?) inizia a parlare di altri cani che stanno male (un simpaticone insomma, come se A non fosse abbastanza preoccupato). A allora, proprio perchè si trova in questo stato mentale e non ha le risorse cognitive per analizzare a fondo l’informazione fornita da B, si chiede cosa stia succedendo agli animali domestici che stanno male. Ovviamente A non dispone di accurati dati statistici che hanno per oggetto la salute degli animali domestici del mondo ma categorizza l’informazione fornita da B nel modo meno dispendioso che ci sia: agganciandola ad una situazione già nota. La sua. Questo meccanismo ha un suo scopo ma è anche insidioso: non è vero che tutti i cani del mondo stanno male ovviamente, ma A (in virtù della situazione in cui si trova) è portato a pensare che sia effettivamente così 😏

Quindi è per questo che le cose sono lontane dal nostro modo di vivere o pensare sono più difficili da comprendere?

In parte si. Se A avesse le risorse cognitive per analizzare l’informazione di B (risorse che attualmente sono oscurate dal suo stato di ansia per il cane), si accorgerebbe che i cani dei suoi amici C e D stanno bene. Quando le persone non ci capiscono, ci giudicano frettolosamente, ci chiedono perchè facciamo certe cose, quali processi cognitivi stanno guidando le loro azioni? Saperlo ci risparmierebbe tantissime fantasie e irritazioni: per fortuna o per sfortuna, non lo sappiamo. Ma il succo del discorso è che più una cosa si allontana da quello che è noto, conosciuto e culturalmente accettato e più è difficile da categorizzare. Donna da sola? Strano. Donna da sola in bicicletta? Molto strano. Donna da sola in bicicletta in montagna? Stranissimo. Donna da sola in bicicletta in montagna che si diverte pure e ci torna tutti i fine settimana? Super stranissimo!

Quindi in parte si. E l’altra parte?

Le cose lontane dal nostro modo di vivere o pensare possono essere difficili da capire così come possono anche attrarci irrestistibilmente. Non è per questo che leggiamo libri, guardiamo film e ascoltiamo storie di persone ispiranti? Se siamo nel giusto mood mentale (leggi: se abbiamo le risorse cognitive necessarie), il racconto di una piccola avventura solitaria può stupire, incuriosire, ispirare. Persone con cui neanche lontanamente avrei pensato di condividere un’attività sportiva sono salite in bicicletta per scoprire il mondo in cui mi immergo ogni volta che pedalo. La trovo una cosa fantastica! 😉 Quindi, dato che questa vuole essere una conclusione, posso affermare con una buona certezza che conoscere questi meccanismi non salverà il mondo dalla superficialità, dalla mancanza di approfondimenti e dalle osservazioni impulsive che rivolgiamo a noi stessi o ai nostri simili. Conoscerli, quanto meno, ci aiuterà ad essere più consapevoli dei modi in cui interpretiamo il mondo e forse un pochino più indulgenti con le persone che ci circondano. Non sono cattive loro, sono impulsivi i loro neuroni 🙂

Manuela



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